Sapete cos’è un bias cognitivo?
No, non avete sbagliato link, siamo su Nessun Armadio. Di solito parliamo di omosessualità e dintorni. Ma oggi no, o non solo: ho voglia di scrivere qualcosa su un argomento che aiuterà tutti noi a capire meglio che cosa succede quando raccogliamo informazioni o dialoghiamo con altre persone, e a comportarci di conseguenza.
Utile nella vita di chiunque, ancor più nella vita di chi si occupa di questioni lgbt+.
Ma procediamo con ordine e spieghiamo innanzitutto cos’è un bias cognitivo e perché dovrebbe interessarci. Anticipo che queste cose io non le ho studiate, vi riporto le informazioni che ho trovato in giro nel modo più accurato possibile, ma se tra chi mi legge c’è qualcuno che ha competenze specifiche in psicologia o scienze cognitive e ha voglia di correggermi o migliorare ciò che dico ne son solo contenta.
In poche parole, un bias cognitivo è una sorta di “pregiudizio”, un comportamento istintivo che mettiamo in atto quando abbiamo a che fare con informazioni nuove. Per esempio, quando ascoltiamo o leggiamo le notizie, ci viene naturale considerare più attendibili quelle che confermano i punti di vista piuttosto che quelle che li mettono in discussione. Ma non solo: sono tanti i comportamenti più o meno inconsapevoli che rendono il nostro giudizio meno “obiettivo” e razionale di quel che vorremmo, per esempio, tendiamo a valutare le nostre esperienze come statisticamente più significative rispetto a quelle altrui; a credere più facilmente a quello in cui vogliamo credere (perché supporta la nostra visione del mondo o perché lo troviamo rassicurante); a essere eccessivamente fiduciosi oppure eccessivamente sospettosi nei confronti delle novità, senza una base ragionevole; a ignorare alcune informazioni e a concentrarci su altri in base all’emotività.
Alcuni esempi? L’effetto placebo è un caso famoso e ben documentato. Se mi metto a vendere bottigliette d’acqua fresca spacciandola per una pozione contro il mal di testa, molte persone la berranno e sentiranno davvero il proprio mal di testa alleviarsi, in un fenomeno di autosuggestione. O ancora, la stessa azione positiva compiuta da una persona che appartiene al nostro stesso “clan” (sia questo definito dall’appartenenza politica, religiosa, nazionale o così via) ci sembra più importante e meritevole di quanto ci sembrerebbe se fosse compiuta da una persona di un “clan” avversario (qualcuno, in pratica, che la pensa diversamente da noi) e lo stesso con le azioni negative. La stessa cosa accade quando siamo terrorizzati dall’eventualità di morire in un incidente aereo o attaccati da uno squalo, ma prendiamo l’auto ogni giorno senza alcuna difficoltà (pur sapendo, razionalmente, che la probabilità di rimanere coinvolti in un incidente automobilistico è molto maggiore delle altre due). Ancora un esempio: avete presente quando notate una particolare coincidenza, per esempio la presenza ricorrente di un certo numero o colore per un po’ di giorni, e dopo esservene accorti iniziate a trovarlo ovunque? Così, se avete un ritardo nel ciclo vi pare che improvvisamente le strade siano piene di donne col pancione, se vi siete appena messi gli occhiali scoprite di essere circondati da miopi e così via.
So cosa state pensando: “Nah, a me non succede”. Sì che succede, ve lo assicuro: succede a me, a voi, a tutti. Sicuramente alcune persone sono più suggestionabili o ingenue di altre, ma nessuno di noi può pensare di essere immune a questi vizi, perché fanno parte del modo in cui conosciamo il mondo e interagiamo con esso.
Tutto questo non dipende dal fatto che siamo superstiziosi, stupidi o male informati, ma è una specie di “trucchetto” che la mente ci gioca. Perché? La risposta è la solita: si tratta di una strategia di sopravvivenza che si è dimostrata evolutivamente vincente. La nostra mente si affanna a cercare un senso o uno schema anche dove non c’è e cerca di risparmiare energie spingendoci a difendere le nostre idee, così come la nostra appartenenza a una “tribù” di persone che la pensano allo stesso modo, piuttosto che indurci a mettere in discussione quello in cui crediamo, rischiando così di perdere l’appoggio di chi ci sta intorno.
Ciò che ho detto fin qui, come già ribadito all’inizio del post, è la sintesi di quel che ho trovato in giro per il web interessandomi a questa tematica. Non mi piace parlare di cose che non conosco e fare l'”esperta” in campi che non mi competono, quindi questo post non ha l’obiettivo di fornire un resoconto esaustivo ma solo quello di suscitare in voi un po’ di curiosità sul tema. Non prendete per oro colato quel che dico ma, se vi interessa, fate le vostre ricerche e se trovate qualcosa che non va per favore fatemelo notare, sarò contenta di correggermi.
Ora veniamo al punto: perché parlo di bias cognitivi su un blog che si occupa di orientamento sessuale?
Perché nel mondo in cui viviamo certi argomenti sono spesso oggetto di discussioni più o meno accese. Ricordiamo tutti gli interminabili dibattiti sulle unioni civili e sull’utero in affito; tutti noi, o quasi, siamo stati coinvolti in discorsi allucinanti con fanatici religiosi o bigotti medievalisti che credono che gli omosessuali siano la prole di Satana. Senza arrivare a questi estremi, insomma, tutti ci siamo ritrovati a discutere di omosessualità, famiglie arcobaleno, legislazione a tutela degli lgbt+ e così via.
E tutti, me per prima, ci siamo trovati a bocca aperta di fronte a una scoperta tanto semplice quanto sconcertante: certe cose che a noi sembrano profondamente e indiscutibilmente giuste (es. il fatto che essere gay non sia una malattia) ad altre persone sembrano altrettanto indiscutibilmente sbagliate, e viceversa. Siamo attaccatissimi alle nostre posizioni, che ovviamente per noi sono quelle giuste – “è talmente ovvio, come fai a non vederlo?” – e ci restiamo male a scoprire che gli altri sono altrettanto attaccati alle proprie, che sono palesemente sbagliate ai nostri occhi.
Per molti di noi, infine, questo tema è più che una disquisizione accademica da social network, ma ci tocca nel profondo. Quando proviamo a raccontare ai nostri genitori, fratelli, amici della nostra identità di genere o orientamento sessuale e ci troviamo di fronte a un muro, il dolore è terribile.
Ora, sapere cos’è un bias cognitivo non risolverà tutti i nostri problemi di comunicazione, anzi. Però secondo me può essere utile e istruttivo.
Per renderci conto che nessuno di noi è perfettamente razionale e oggettivo, e che quindi quando parliamo di certe cose l’emotività va tenuta in gran conto, perché è inevitabilmente legata alle opinioni e alle idee di ciascuno di noi.
Ma anche per capire quanto è difficile cambiare idea, e quindi per non sottovalutare l’enorme sforzo che ci vuole a mettere in discussione una convinzione, magari radicata fin dall’infanzia.
Infine, per sapere che noi stessi siamo affetti da questi “pregiudizi” istintivi, e che quindi non basta avere “una mente aperta” ma bisogna sforzarci continuamente, sottoponendo noi stessi al vaglio della ragione, chiedendoci: sto davvero guardando questo problema da tutti i punti di vista? Potrei cercare altre prospettive? Mi sono davvero informato in maniera imparziale o mi sono limitato a prestare orecchio solo alle fonti da cui sapevo di veder confermate le mie aspettative?
Che ci guadagniamo? Non tanto la possibilità di convincere gli altri che le nostre prese di posizione sono più consapevoli e giustificate (e chi dice che lo siano?) quanto la possibilità di comprendere meglio i punti di vista diversi e di esercitare il nostro senso critico e la nostra razionalità.
Questo è utile a tutti, per tante ragioni credo che sia utile in particolare a chi si occupa di questioni lgbt+ e altre tematiche sensibili.
Che ne pensate?
Vulcanica
PS: se vi interessa una bibliografia, ho semplicemente digitato “cognitive bias” su google e letto i risultati delle prime due pagine di ricerca.